Gli specchi alchemici di Paolo Hermanin
Paolo Hermanin ha iniziato a praticare la tecnica dell’incisione su specchio negli anni ’80. A partire dal 1998 approda allo studio e alla pratica delle filosofie orientali, in particolare dello Yoga e la conoscenza di queste discipline lo porta a ricodificare la realtà attraverso la via spirituale orientale.
In questo particolare clima interiore, gli specchi incisi sono il risultato di un lavoro lungo e meticoloso, sintesi del gusto calligrafico orientale con la cultura mitteleuropea della Wunderkammer e manifestano una sempre maggiore padronanza del modo simbolico. Incidere con una punta i simboli universali sulle superfici più fragili esistenti, gli specchi, permette a Paolo Hermanin di creare un’arte sospesa tra il sensibile e il soprasensibile. L’artista opera una retroincisione dello specchio, creando la luce al posto dell’ombra, aprendo una realtà oltre quella fenomenica. Lo specchio inciso, per le sue quattro dimensioni intrinseche (magica, mitica, mantica e medica), diviene una sorta di finestra trascendentale che, al di là della realtà sensibile, consente di raggiungere livelli superiori di conoscenza, ma anche di terapia e di guarigione: il lavoro terapeutico con gli specchi è conosciuto anche con il nome di Mirrors Therapy, per la grande diffusione che ha avuto negli USA negli anni ’90.
Lo specchio è il simbolo più diretto della visione spirituale, la contemplatio, e in generale della gnosi, giacché attraverso di esso si trova concretizzato l’avvicinamento del soggetto e dell’oggetto.
«L’universo visibile è illusione, o, più precisamente, sofisma; gli specchi e la paternità sono abominevoli perché lo moltiplicano e lo divulgano» (J.L. Borges). Luogo non luogo, o spazio altro come lo definirebbe Foucault, dove finzione e realtà si incontrano e si confondono, lo specchio come doppio, indissolubile unione tra l’oggetto e il suo riflesso. Lo specchio come luogo di trasformazione e d’inganno, dove ambiguità e duplicazione dell’apparenza possono rivelare aspetti inattesi e sorprendenti lati dell’esistenza,lascia emergere la vera identità individuale o collettiva. Nello specchio c’è un altroché ci spia, direbbe Borges, poiché l’essere che lo abita non riconosce chi ha davanti a sé, in un gioco abominevole dove è impossibile distinguere l’immagine reale da quella riflessa, come per Narciso alla fonte. Lo specchio è un inquietante alter ego, che palesa ciò che sta altrove, fornendoci l’occasione di esplorare mondi sconosciuti, di creare una connessione tra la visione reale e quella speculare dell’immagine. Il mondo oltre lo specchio ci apre ad altre realtà, labirinti che si moltiplicano generando una serie infinita di universi.
Lo specchio, nell’opera di Paolo Hermanin, è una sorta di soglia che introduce in una realtà altra, oltre quella fenomenica. È il luogo magico dello svelamento del mistero, dove avviene il processo alchemico della trasmutazione della materia, della coincidentia oppositorum, luogo iniziatico dove da un primo piano scuro, la “Caverna” platonica, si passa pian piano verso la luce. La tenebra è calda e protettiva, la luce è tagliente e discrimina, separa. La coscienza è luce che fa ritrarre l’ombra. Il tema della “soglia” è presente in tutta l’opera di Hermanin, soglia che permette questo passaggio dalla tenebra alla luce, alla ricerca della coscienza di sé.
di Maria Grazia Massafra