Le rocce e le nuvole
“La luce diviene aureola e la linea ondula al ritmo della nostra anima”
(Louis Georges Hautecoeur)
Circola nel lavoro di Paolo Hermanin una tensione di matrice romantica e le suggestioni di linguaggio che animano il suo singolare lavoro -volto a disegnare un percorso iniziatico, una traiettoria ascensionale dal buio alla luce- evocano quel sentimento della natura insieme grandioso e terribile, che ha connotato i pittori del Sublime, da William Blake a John Martin, dagli Ossianici a Philipp Otto Runge, a Caspar David Friedrich a William Turner, all’anglo- americano Thomas Cole.
Il fulcro della sua immagine creativa si volge verso paesaggi fantastici, proiezione onirica di stati psichici, tesi ad esprimere una dimensione inquieta dell’universo.
Spettatore silenzioso, l’artista esprime, attraverso una cosmogonia fantastica,livelli alti di visionarietà, di forza inventiva e di sperimentazione formale: gli elementi naturali si trasformano in archetipi, l’immaginazione proietta su di essi la sua ansia di infinito.
Una vasta gamma di sensazioni, nate di fronte alle manifestazioni del creato o dinnanzi alla scoperta di abissi interiori, si traduce in una tensione dinamica verso la durezza e la fluidità degli elementi, in una presa di coscienza di ciò che è materia o energia.
Chi guarda vede e contemporaneamente avverte la densità, lo spessore, la consistenza della roccia e insieme l’immaterialità, la leggerezza delle nuvole.
Le schegge cristalline, i vortici, le raffiche luminose, il turbinio degli elementi, le dissoluzioni nella luce, riflettono un’aspirazione verso l’ignoto e nel contempo traducono, per intuizione o analogia, l’unità dell’universo. L’intero disegno dell’opera potrebbe essere interpretato come un messaggio panteistico per gli iniziati alla religione della natura e dell’arte.
Gaston Bachelard, (L’eau et les rêves) definisce l’immaginazione come una delle forme dell’audacia umana, dalla quale si riceve un impulso dinamico innovatore. E, a conferma, cita l’immagine letteraria, “movimento senza materia” di Novalis, di Shelley, di Edgar Poe, di Baudelaire, di Rimbaud, di Nietzsche.
L’opera di Hermanin può considerarsi una baudelairiana Invitation au voyage, attraverso forme capaci di determinare la dialettica dell’entusiasmo e dell’angoscia, l’ambivalenza di sogno e pensiero, reale e immaginario, dove la realtà è sogno e il sogno una realtà fedele alle suggestioni infinite degli elementi naturali.
L’elemento trascendente agisce come fermento e tende a una trasformazione creativa del reale. La simbolizzazione è rivelatrice, testimonianza visibile di un’essenza segreta, poiché le immagini non significano soltanto ciò che rappresentano, ma suggeriscono altri significati. “Nominare un oggetto è sopprimere tre quarti del godimento, che è costituito dalla felicità di indovinare poco a poco: suggerire. ecco il sogno”. afferma Stéphane Mallarmé, incarnazione tipica del poeta simbolista.
E certi modi della poetica simbolista, che rivelano aspetti di una sensitività collegabile al romanticismo, ci consentono anch’essi di leggere il mondo dell’artista, nella ricerca intuitiva di contenuti ideali insiti nelle forme, nell’allusione a misteriosi legami fra visibile e invisibile, nel postulare un’armonia universale basata sulla connessione fra tangibile e intangibile, rendendo espliciti i legami fra senso e spirito.
di Maria Teresa Benedetti