Un incontro
Il mio lavoro, organizzare mostre, mi porta a conoscere molti artisti e mi dà la possibilità di vedere tante opere.
Nei mesi scorsi per organizzare questa mostra ho conosciuto Paolo Hermanin; ci siamo incontrati la prima volta nel suo laboratorio, un antro buio nel cuore di Trastevere che rimanda alle antiche botteghe.
Paolo è altissimo e nel suo laboratorio sembra ancora più alto; i suoi modi sono cortesi e il sorriso caratterizza il suo viso, è un uomo di altri tempi.
Inizio a guardare le sue opere, specchi di diverse dimensioni in cui però la propria immagine non è riflessa in modo nitido; specchi che illuminano e che restituiscono soprattutto l’immagine incisa dall’artista con una tecnica assolutamente inusuale.
I segni incisi sono frutto di un fare sapiente e di una gestualità lenta e ben meditata che trova un suo diretto paragone nelle antiche incisioni a bulino. Anche la sua tecnica è di altri tempi. Lo studio delle ombre e dei chiaro scuri è attento e morbido come un disegno a carboncino.
Come nei maestri del passato la perizia tecnica non frena il furor ma lo esalta.
Vedo altre opere e Paolo mi racconta che le sta realizzando su “commissione” e che il lavoro è nato dall’incontro tra i desiderata del “Mecenate” e la sua creatività; penso ai consueti dialoghi tra committente e artista, che hanno dato vita ai capolavori della nostra storia dell’arte.
Continuo a guardare e i tavoli sono coperti da fogli; i disegni di Hermanin sono veri e propri progetti che lo supportano nell’ideazione ma anche e soprattutto nella realizzazione; non mi sarei stupita se li avessi trovati “quadrettati” così come i pittori antichi facevano per riportare il disegno sulle tele e sulle pareti da affrescare.
Eppure Paolo è un contemporaneo, capace di analizzare in modo attento e razionale i fenomeni naturali per poi restituirceli carichi di emozione attraverso i suoi specchi.
di Renata Sansone (storica dell’arte, responsabile Ufficio Mostre di Zetema)